Biografia
L’emigrazione edile a Roma nell’età moderna
 
 
Seguendo l’esempio dei Maestri comacini, i “maestri della pietra” emigrati dalla regione del Ceresio nei centri culturali del cattolicesimo edificarono opere di grande valore. Rappresentavano un’emigrazione qualificata, spesso solo temporanea, con ritorni periodici in patria. Emigravano dai villaggi adulti e giovani di molte famiglie, che tramandavano le loro capacità di generazione in generazione.
 
L’emigrazione edile in età moderna non fu solo un fenomeno culturale ma ebbe una notevole importanza sociale ed economica, poiché gli emigranti formavano una comunità spesso molto coesa, unita da relazioni di parentela trasformati in accordi di lavoro. In questo modo, attraverso i legami di parentela e di vicinato, si sviluppò una nei secoli una rete fittissima ed efficiente di punti di contatto e di appoggio di botteghe in Italia e in tutta Europa.
 
Un fenomeno tutto particolare si sviluppò a Roma, dove gli emigrati ticinesi crebbero e formarono un gruppo egemone. Inizialmente furono assimilati agli altri lombardi, venuti dalla diocesi di Como. Non a caso erano chiamati essi stessi come “comensi” o “comaschi”, la cui tradizione era lunga e discendeva, come abbiamo visto, dai maestri comacini. Dalla metà del Cinquecento la corrente lombarda era diventata la forza predominante nel mondo edilizio romano: avevano avuto successo a Roma architetti di Porlezza o di Viggiù e lo stesso Domenico Fontana aveva abitato nella zona detta “dei milanesi”.
 
Come già i lombardi prima di loro, gli scalpellini venuti dal Ticino entrarono nell’«Università dei Marmorari e Scultori romani», i cui statuti, redatti nel 1406, miravano al mantenimento della disciplina interna e alla tutela degli interessi degli associati nei riguardi di coloro che esercitavano abusivamente il mestiere, nei confronti delle corporazioni rivali e contro coloro che trasgredivano alle norme che regolavano i contratti.
Nel corso del Cinquecento a Roma, muratori scalpellini e architetti ticinesi – i Fontana, i Maderno e i Castelli – trasformarono il mestiere del costruttore in un’attività imprenditoriale dalle caratteristiche moderne poiché avevano l’obiettivo, oltre alla partecipazione alle commissioni pubbliche, il perseguimento di profitti tramite l’investimento e la costruzione d’immobili da vendere sul mercato immobiliare.
La maggior parte di coloro che partivano dal Ticino potevano godere di un patrimonio immobiliare o fondiario, anche esiguo, indispensabile garanzia iniziale per la costituzione del capitale necessario per entrare a far parte di una “Compagnia”. Le compagnie erano vere e proprie imprese che, grazie alla disponibilità di capitali, appaltavano i lavori assicurandosi l’onere del rispetto delle condizioni contrattuali, proponendo dunque al committente un lavoro “chiavi in mano”.
Le varie committenze a Roma, soprattutto le ecclesiastiche, cominciarono ad affidarsi alle compagnie perché rendevano più semplici le procedure contabili. L’edilizia romana era quindi sottoposta ad una rete di rapporti professionali e finanziari che si facevano ancora più stretti in virtù dei legami interpersonali – spesso clan familiari o nazionali – e finanziari che reggevano le compagnie e l’intero sistema. I capitali necessari venivano dalla messa in comune e di sottoscrizione di fondi all’interno di una comunità. Per i lombardi e i ticinesi questo sistema permetteva loro di contrastare altre compagnie, legate ad ambienti più urbani e borghesi come quelli fiorentini o genovesi. Questo sistema basato su legami familiari o di clan, permetteva ai nuovi immigrati dal Ticino o dalla Lombardia di entrare a far parte di un sistema già collaudato e di inserirsi nella comunità romana.
 
Il settore edile era molto dinamico, come denunciava l’Università dei muratori e non era raro che uno scalpellino venuto dal Ticino scalasse in poco tempo tutta la gerarchia: da “garzone” a “capomastro” e da “capomastro” ad “architetto”.
 
 
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